Quiet quitting: cos'è il nuovo fenomeno che arriva da TikTok
Straordinari non retribuiti e reperibilità h24? No, grazie. Questo è in estrema sintesi il senso del Quiet Quitting, il fenomeno nato dai social che si appresta a diventare una nuova filosofia di vita per i lavoratori di tutto il mondo. Molto più di una semplice buzzword, il trend del momento appare a tutti gli effetti come un efficace e pacifico rimedio contro il burnout lavorativo e come alternativa all’altrettanto diffuso fenomeno della Great Resignation.
Ma chi sono i quiet quitter e perchè se ne parla tanto? Ecco tutto quello che c’è da sapere.
Cosa significa quiet quitting?
Volendo fare riferimento ad una traduzione letterale, l’espressione quiet quitting potrebbe essere resa con “abbandono silenzioso”. In realtà, il fenomeno in oggetto ha poco a che fare con le dimissioni, come erroneamente si potrebbe pensare. Al contrario, nasce come reazione alla cultura del lavoro e della competizione sfrenata, come opposizione ai sacrifici a tutti i costi, in favore di un approccio molto più “tranquillo” (appunto “quiet”) e rilassato ai propri compiti e agli orari di lavoro. In sostanza, quiet quitting vuol dire fare il “minimo sindacale”, lo stretto indispensabile per non esser licenziati, dicendo basta a ore di lavoro non retribuite, straordinari non pagati, stipendi troppo bassi e una disponibilità continua, 24 ore su 24.
Origine del fenomeno del quiet quitting
A onor del vero, un simile atteggiamento verso il proprio lavoro non è un fenomeno del tutto nuovo. Secondo uno studio Gallup condotto negli Stati Uniti, i quiet quitter rappresenterebbero il 50% della forza lavoro, mentre del restante 50%, il 32% sarebbe composto da lavoratori coinvolti ed entusiasti, il 18% da lavoratori insoddisfatti, pronti a sabotare il proprio lavoro anche dichiaratamente. Ma dunque perché oggi se ne parla così tanto? Quello che fino a poco tempo fa era chiamato coasting e che stava ad indicare l’atteggiamento di chi si limita a timbrare il cartellino, senza preoccuparsi di alzare un dito in più del necessario, da qualche settimana ha preso il nome di quiet quitting. L’espressione è stata coniata da Zaid Khan, un giovane ingegnere statunitense, che con un video pubblicato su TikTok e diventato virale ha reso popolare questa espressione. "Il tuo valore come persona non è definito dal tuo lavoro": da questa frase il fenomeno è diventato trend topic spopolando sui social, soprattutto tra gli appartenenti alla Generazione Z.
Da cosa deriva il successo del quiet quitting?
La popolarità e il successo del quiet quitting sono da inserire in un contesto storico e socioeconomico particolare come quello che stiamo vivendo. Sebbene sia sempre esistito, il fenomeno dei quiet quitters è in ascesa per effetto di numerosi fattori concomitanti. Già vessati dal biennio segnato dalla pandemia e dallo smart working, i lavoratori di tutto il mondo si ritrovano oggi a fare i conti con le conseguenze della guerra, del caro vita, dell’inflazione ai massimi storici, sempre più stanchi di sacrifici mai ripagati e profondamente frustrati. Se fino a qualche mese fa era in voga il fenomeno della Great Resignation, ossia delle dimissioni in massa, a quanto pare oggi i lavoratori preferiscono non abbandonare il lavoro ma limitarsi a fare il minimo indispensabile, rinunciando alla competizione e alla cosiddetta hustle culture, in favore della ricerca di un maggior benessere psichico e mentale. In particolare questo atteggiamento tende a dilagare tra coloro che si vedono imprigionati in una posizione lavorativa destinata a rimanere invariata, senza avanzamenti di carriera e senza gratificazioni di alcun tipo.
Come affrontare il fenomeno del quiet quitting in azienda?
Questa è certamente una sfida per chi si occupa di risorse umane e top management, da fronteggiare facendo leva sulla cultura d’impresa, sulla capacità di dialogo con i dipendenti e sulla corretta definizione di obiettivi di crescita condivisi per tutti i lavoratori.